29
Mar 2025
Venezia no se alquila… ni siquiera por Amor.

La noticia ya circula como si fuera un cuento de hadas: Jeff Bezos y Lauren Sánchez celebrarán su boda en Venezia. Cinco hoteles de lujo cerrados en exclusiva, una lista de invitados cuidadosamente curada, el Gran Canal como telón de fondo. Una ciudad entera — símbolo de historia, arte y fragilidad — convertida, durante unos días, en un escenario privado.
Y, sin embargo, algo no encaja.
No es la boda lo que me perturba. Es la escena.
Venezia, suspendida entre agua y eternidad, convertida en parque de atracciones de uso personal. No por capricho — dirán algunos — sino por Amor y porque Bezos puede.
Pero ¿qué amor necesita privatizar casi una ciudad entera para celebrarse?
Me pregunto si nos damos cuenta de lo que normalizamos cuando aplaudimos estos gestos. Claro, supondrá ingresos importantes para la hostelería y la ciudad en sí y una exposición mundial que, admitiendo que le haga falta, será gratis y aumentará el mito del lugar. Pero…
¿Dónde está la línea entre admirar la belleza y usarla? ¿Cuándo el lujo deja de ser homenaje y se vuelve apropiación?
Porque el verdadero lujo — al menos como yo lo entiendo — nunca excluye desde la belleza, el arte y la cultura.
Como negocio, sí: es selectivo, limitado, a veces incluso agresivamente inaccesible. Pero cuando se manifiesta como experiencia estética, cuando nace del respeto, del saber hacer, de la contemplación… entonces no separa. Invita. Nos iguala en la emoción.
Sabe habitar el silencio, compartir lo bello sin someterlo.
El lujo auténtico no se impone al lugar, ni a las personas: honra a ambos.
Venezia no se alquila, se contempla. Se respira entre susurros. Porque, no es solo una ciudad: es un testimonio de grandeza. De la belleza que resiste al tiempo, del ingenio humano en equilibrio con la naturaleza, de la delicadeza del arte, de la majestuosidad convertida en arquitectura.
No pertenece a quien la paga. Ni siquiera a Italia. Venezia pertenece al mundo, es un bien universal.
Al igual que lo son Roma o París, … es un bien común espiritual, cultural y emocional.
Y lo que pertenece a la humanidad, no se encierra. No debería privatizarse o instrumentalizarse.
Pero vivimos tiempos donde todo tiende a monetizarse.
Incluso el Amor. Así lo veo yo.
Y es justamente allí donde se abre una grieta. Porque la belleza — como el amor — no nace para ser puesta en escena, ni controlada. Exige vulnerabilidad, no espectáculo. Y sin embargo, seguimos transformando lo que es sagrado en contenuto, en experiencia vendible, en fondo de pantalla de una felicidad impostada.
Cuando la belleza es usada como escenografía personal, pierde su potencia transformadora. Se convierte en decorado, en trampolín de estatus, en herramienta de narrativa ficticia. Y lo más inquietante es que lo aceptamos como normal. Aplaudimos que alguien “haya elegido bien” el lugar para casarse, sin preguntarnos si era él quien debía ocuparlo. Durante unos días, nadie podrá coger un taxi en Venecia, porque “Bezos lo vale”.
Hay algo profundamente sintomático en este gesto. No es la primera vez que una ciudad histórica se convierte en el telón de fondo de una celebración privada. Lo vemos en Roma, en Florencia, en París. Lo veremos en otras. El capital no solo compra lugares físicos: coloniza también lo simbólico. Toma posesión de lo que debería pertenecernos a todos, incluso si no podemos tocarlo.
No estamos perdiendo solo espacio. Estamos perdiendo referencias.
Estamos vaciando de alma los lugares que antes servían para reconectarnos con algo más grande: nuestro pasado, la grandeza del ser humano, la belleza universal… y lo hacemos sin darnos cuenta, envueltos en la narrativa de la experiencia, de lo exclusivo, del supuesto homenaje a la cultura.
Y mientras el ruido del fasto intenta ocuparlo todo, La Serenissima seguirá contemplando en silencio. Impertérrita, como siempre. Porque hay bellezas que no se dejan perturbar. Hay almas que no se compran, ni siquiera cuando alguien las pone a la venta sin permiso.
¿Y el Amor?
¿En qué momento dejó de hablar en voz baja para necesitar amplificadores?
¿Qué buscamos demostrar cuando lo transformamos en ceremonia desmesurada?
Tal vez sea que lo hemos confundido con el relato, con la puesta en escena, olvidando su esencia.
El Amor no necesita aspavientos.
Basta un gesto — una mano sobre el pecho — para que todo esté dicho.
No como caricia superficial, sino como si esa mano pudiera atravesar la piel, el hueso, el tiempo… y tocar directamente el corazón del otro.
No para poseerlo, sino para estar ahí, fundirse en él. Presente. Sin ruido. Sin espectadores.
Ese Amor no necesita ocupar ciudades.
No reclama un decorado.
Tal vez lo más lujoso hoy no sea cerrar Venezia, sino elegir no hacerlo.
Tal vez el mayor signo de amor no sea la magnificencia del gesto, sino la delicadeza de la ausencia.
Tal vez el verdadero poder consista en saber cuándo no estar.
Porque si todo se puede comprar…
¿qué queda sin precio?
Venezia non si affitta; nemmeno per Amore.
La notizia già circola come se fosse una favola: Jeff Bezos e Lauren Sánchez celebreranno il loro matrimonio a Venezia. Cinque hotel di lusso riservati in esclusiva, una lista di invitati selezionata con cura, il Canal Grande come sfondo. Un’intera città — simbolo di storia, arte e fragilità — trasformata, per alcuni giorni, in un palcoscenico privato.
Eppure, qualcosa stona.
Non è il matrimonio che mi disturba. È la scena.
Venezia, sospesa tra acqua ed eternità, convertita in un parco giochi ad uso personale. Non per capriccio — diranno alcuni — ma per Amore, e perché Bezos può permetterselo.
Ma quale Amore ha bisogno di privatizzare quasi un’intera città per potersi celebrare?
Mi chiedo se ci rendiamo conto di ciò che normalizziamo quando applaudiamo questi gesti. Certo, per l’industria alberghiera e per la città si tratterà di entrate importanti, e di una visibilità mondiale che — ammesso che serva — sarà gratuita e accrescerà il mito del luogo. Ma…
Dove sta il confine tra ammirare la bellezza e usarla? Quando il lusso smette di essere omaggio e diventa appropriazione?
Perché il vero lusso — almeno secondo la mia visione — non esclude mai se nasce dalla bellezza, dall’arte, dalla cultura.
Come business, sì: è selettivo, limitato, a volte persino aggressivamente inaccessibile. Ma quando si manifesta come esperienza estetica, quando nasce dal rispetto, dal saper fare, dalla contemplazione… allora non separa. Invita. Ci rende uguali nell’emozione.
Sa abitare il silenzio, condividere ciò che è bello senza soggiogarlo.
Il vero lusso non si impone né ai luoghi né alle persone: li onora entrambi.
Venezia non si affitta, si contempla. Si respira tra i sussurri.
Perché non è solo una città: è una testimonianza di grandezza.
Della bellezza che resiste al tempo, dell’ingegno umano in equilibrio con la natura, della delicatezza dell’arte, della maestosità che diventa architettura.
Non appartiene a chi la paga. Nemmeno all’Italia. Venezia appartiene al mondo: è un bene universale.
Come Roma o Parigi, è un patrimonio spirituale, culturale, emotivo.
E ciò che appartiene all’umanità non si rinchiude. Non dovrebbe essere privatizzato o strumentalizzato.
Ma viviamo un’epoca in cui tutto tende a essere monetizzato.
Persino l’Amore. È così che lo vedo io.
Ed è proprio lì che si apre una crepa. Perché la bellezza — come l’amore — non nasce per essere messa in scena, né controllata. Richiede vulnerabilità, non spettacolo. Eppure, continuiamo a trasformare ciò che è sacro in contenuto, in esperienza vendibile, in sfondo per una felicità in posa.
Quando la bellezza viene usata come scenografia personale, perde la sua forza trasformativa. Diventa decorazione, trampolino di status, strumento di una narrativa fittizia. E ciò che inquieta di più è che tutto ciò venga percepito come normale. Applaudiamo chi “ha scelto bene” il luogo in cui sposarsi, senza domandarci se fosse davvero lui a doverlo occupare.
Per qualche giorno, a Venezia, nessuno potrà prendere un taxi. Perché “Bezos se lo può permettere”.
C’è qualcosa di profondamente sintomatico in questo gesto.
Non è la prima volta che una città storica diventa sfondo di una celebrazione privata. Accade a Roma, a Firenze, a Parigi. E accadrà altrove.
Il capitale non compra solo luoghi fisici: colonizza anche ciò che è simbolico. Si appropria di ciò che dovrebbe appartenere a tutti, anche se non possiamo toccarlo.
Non stiamo perdendo solo spazi. Stiamo perdendo riferimenti.
Stiamo svuotando di anima i luoghi che un tempo ci servivano per riconnetterci a qualcosa di più grande: il nostro passato, la grandezza dell’essere umano, la bellezza universale…
E lo facciamo quasi senza accorgercene, avvolti dalla narrazione dell’esperienza, dell’esclusività, del presunto omaggio alla cultura.
E mentre il rumore del fasto tenta di occupare tutto, La Serenissima continuerà a contemplare in silenzio. Imperturbabile, come sempre. Perché ci sono bellezze che non si lasciano turbare. Ci sono anime che non si vendono, nemmeno quando qualcuno le mette in vendita senza averne il diritto.
E l’Amore?
Quando ha smesso di parlare a bassa voce per aver bisogno di amplificatori?
Cosa cerchiamo di dimostrare quando lo trasformiamo in cerimonia smisurata?
Forse lo abbiamo confuso con il racconto, con la messinscena, dimenticandone l’essenza.
L’Amore non ha bisogno di clamori.
Basta un gesto — una mano posata sul petto — perché tutto sia detto.
Non come una carezza superficiale, ma come se quella mano potesse attraversare la pelle, l’osso, il tempo… e arrivare a toccare il cuore dell’altro.
Non per possederlo, ma per esserci. Fondersi. Presente. Senza rumore. Senza spettatori.
Quell’Amore non ha bisogno di affittare città.
Non reclama scenografie.
Forse il vero lusso, oggi, non è chiudere Venezia.
È scegliere di non farlo.
Forse il più grande segno d’amore non è la magnificenza del gesto,
ma la delicatezza dell’assenza.
Forse il vero potere consiste nel sapere quando non esserci.
Perché se tutto si può comprare,
cosa rimane senza prezzo?
fuente imagen NICK M
Karwai Tang (WireImage / getty)
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